Calvi Risorta: Cales

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“Calvi Risorta: Cales”
a cura di Mariapia Statile

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Latium-Campania 1:500.000


Cales,
cenni storici

Calvi Risorta, centro antico della Campania settentrionale, in provincia di Caserta, è situato ai piedi del monte Maggiore lungo la direttrice dell’Autostrada del Sole. L’antica Cales, importante centro degli Aurunci, poi città romana, sorgeva su un altopiano fra agro Falerno, che si estende a sud della via Appia (1), e agro Stellatino; i suoi resti si rinvengono in corrispondenza del km 187 della via Casilina, in località Calvi Vecchia.

Le conoscenze sul sito preromano derivano dai materiali rinvenuti, soprattutto ceramici, i quali attestano che durante l’età del Ferro ci fu un aumento della popolazione con conseguente nascita di villaggi creando così un insediamento di tipo protourbano. Per quanto riguarda l’età arcaica, quello che si conosce puntualmente dell’abitato è fornito da brevi campagne di scavo che hanno portato alla luce un nucleo di capanne databili tra VII e VI secolo a.C., situato al centro del pianoro dove sorgerà la città romana e più tardi, nel 1960, verrà costruita l’Autostrada del Sole.

Lo studio delle sepolture ha rivelato la presenza di personaggi eminenti all’interno dell’articolata comunità socialmente elevata con un’economia prevalentemente agricola non scevra da attività artigianali (in particolare la ceramica). Inoltre, i corredi funebri evidenziano contatti con il mondo etrusco-laziale, capuano, magno-greco e anche con l’area medio-adriatica. La città era circondata da mura in opera quadrata.

Nel 335-334 a.C. Cales fu presa dai Romani comandati da M. Valerio Corvo (2) diventando così per i Romani un’importante colonia e punto nevralgico per il controllo delle vie di accesso al Lazio e al Sannio in quanto permetteva loro di intercettare le comunicazioni fra Teano e Capua nonché bloccare le incursioni sannite verso l’agro Falerno, essendo ubicata nella Campania settentrionale quasi al confine con il Lazio. La deduzione di Cales rappresentò un evento fondamentale per la storia della colonizzazione romana, infatti garantì ai Romani il possesso della via Latina, importante strada che la allacciava a Roma, e allo stesso tempo, assicurò loro il mantenimento della via costiera verso la Campania (la futura via Appia).

L’arteria principale della città era proprio la via Latina che, venendo da Teano, entrava nell’abitato lungo l’attuale via Formelle e ne usciva a ovest in direzione di Casilino e Capua; ed è l’asse stradale sul quale è impostato l’intero impianto urbanistico della città, ha direzione nord-est/sud-ovest e corre longitudinalmente a metà del pianoro; su di esso si innestano a pettine vie secondarie. Dopo la guerra sociale (90-88 a.C.) Cales divenne municipium. Nel periodo che va dal I secolo a.C. al II secolo d.C., Cales ebbe un’intensa attività edilizia anche grazie all’impiego della pozzolana flegrea.

Cales: evidenze storico-archeologiche

L’antica città di Cales ci ha tramandato la sua storia leggibile attraverso le evidenze storico-archeologiche che, nonostante siano sconvolte dal degrado in cui versano, sono oggi visibili in questo centro antico della Campania settentrionale, in provincia di Caserta situato ai piedi del monte Maggiore.

Uno degli aspetti interessanti di Cales è il suo sistema di drenaggio per la regolamentazione idrica del territorio. Molti corsi d’acqua nei pressi di Cales sono stati deviati dai loro percorsi originali. Il prosciugamento riguarda l’intera zona delle colline a sud del monte Maggiore. A causa del continuo pericolo di crollo e dell’erosione risulta difficile studiare tali cunicoli ma almeno le linee principali di questo progetto possono essere ricostruite. L’antico sistema di drenaggio intorno è di due tipi: prosciugamento mediante la deviazione del percorso del fiume, e prosciugamento in superficie attraverso cunicoli.

Come materiale di costruzione veniva adoperato il tufo, facile da tagliare ma con lo svantaggio di essere così tenero che l’erosione poteva creare seri problemi. Infatti, questo genere di opere furono realizzate in zone caratterizzate soprattutto da paesaggi tufacei, come la Campania settentrionale, l’Etruria e alcune zone del Lazio. Sono tre i principali corsi d’acqua che discendono verso Cales: Rio Cifoni, Rio Palombara e Rio Pezzasecca; poi ci sono tutta una serie di fiumi minori, che discendono a sud del monte Maggiore, la maggior parte dei quali convergono in un grande bacino a nord formato da ripidi pendii di una catena di montagne dal monte Calvento a sud e monte Grande a nord.

Il cunicolo di Ponte delle Monache, a sud, è stato progettato per condurre il fiume Rio Pezzasecca sotto la via Latina, arteria principale dell’impianto urbanistico. L’antico sistema di drenaggio di Cales è stato fondamentale, non solo per l’agricoltura, ma anche per l’assetto topografico della città stessa, poiché ha favorito lo sviluppo del sistema difensivo di Cales.

Sulla destra della via Casilina si trova la Cattedrale romanica, che sorge sui resti di un tempio risalente al IX secolo, ma rimaneggiata nel Quattrocento, con interno barocco e una bella cripta. Oggi rimangono soltanto le tre absidi assieme al muro esterno di una navata.
Per quanto riguarda invece l’interno, conserva numerose opere d’arte, come il pulpito in marmo sorretto da due colonne che poggiano su due leoni con le teste rivolte all’altare, anch’essi di marmo; poi vi è la cattedra sostenuta da due animali bardati: il tutto è in marmo; inoltre, vi sono i resti di una colonna romana con capitello ionico a foglie e fiaccole. Infine, sotto il presbiterio si trova la cripta sorretta da ventuno colonne di granito cipollino, lisce e/o scanalate, con capitelli ognuno diverso dall’altro.

Interessanti sono anche i resti del castello, con quattro torri cilindriche, a pianta quadrata, costruito a difesa del borgo nel Quattrocento, infatti si presenta come una fortificazione: aveva una funzione di controllo sull’antica via Latina.
Si accede al castello mediante una porta arcuata, che a sua volta conduce verso due cortili e ai lati di questi vi sono vari locali destinati probabilmente agli alloggiamenti dei soldati. Superato il secondo cortile, grazie ad una scala situata nel primo ambiente, è possibile salire al piano superiore dove si trovavano gli ambienti riservati al feudatario e ai suoi ospiti, e per tale motivo definito piano nobile. Il complesso vive dalla fase angioina-aragonese fino agli inizi del XVIII secolo.
Oggi è visibile la sua imponente struttura muraria avente orientamento est-ovest. Inoltre, vi è un arco centrale in asse con il Castello stesso; tale arco consentiva l’accesso ad una corte interna, che a sua volta si sviluppava intorno all’abitato.

 

Indicazione delle evidenze storico-archeologiche (Immagine tratta da Google)

Nel tufo della zona circostante sono scavate numerose grotte, tra le quali vi sono la Grotta dei Santi, scavata nel tufo da alcuni monaci di San Basilio per rifugiarsi dalle persecuzioni da parte degli iconoclasti; ha forma quadrangolare con resti di altare e alcune pitture di Santi precedenti al XII secolo, e la Grotta delle Formelle, invece scavata nel fianco della parete tufacea, anch’essa con un ciclo di affreschi ma con datazione al X-XI secolo. Tuttora è identificabile il tracciato della cinta muraria, pur se solo in parte visibile, che compone il sistema difensivo dell’antica città.
La chiesa rupestre è ad ambiente unico, con pianta rettangolare, e misura circa 15 metri di lunghezza per 5/6 di larghezza; alla destra dell’ingresso si apre una sorta di nicchia, ampia qualche metro quadro e con un altare. Le pareti di liscia roccia vennero dipinte con la tecnica dell’affresco  in antico e vi furono raffigurati, a grandezza quasi naturale, una sessantina di santi oltre a scene sacre, come una Crocifissione. La datazione viene collocata tra la fine del X e la prima metà dell’XI secolo. L’abside si trova, come naturale, al centro della grotta ed è soprelevato rispetto al piano di calpestio e all’altare. Vi era raffigurato un Cristo tra due angeli con le ali spiegate; ai lati vi sono le figure di San Pietro, che tiene in mano le chiavi legate con una corda in modo da formare la P di Petrus, e di San Paolo, che impunga con la mano sinistra una pergamena arrotolata, a simboleggiare le celebri “lettere” da lui scritte.
Il gruppo centrale di figure si amplia lateralmente con altri santi, tra i quali San Tommaso, San Martino, San Giuliano e San Nicola, ancora oggi perfettamente identificabili. Ai piedi dell’abside vi è una Madonna in trono con il Bambino sulle ginocchia; ai lati ci sono tre santi i cui nomi non sono stati ancora ben identificati.
Sulla parete di sinistra si trovano San Michele Arcangelo “psicopompo”, ossia raffigurato nell’atto di pesare un’anima (un uomo) con la bilancia. Probabilmente si tratta dell’anima di San Lorenzo, il cui martirio sulla graticola viene rappresentato nel successivo riquadro, nel quale si vede il santo sui carboni ardenti dinnanzi all’imperatore, che assiste seduto con aria impassibile; vi sono poi due serventi che rigirano il malcapitato con degli arpioni e un terzo che, al di sotto della griglia, raccoglie il grasso che cola. La scena successiva rappresenta la leggenda di San Silvestro,  raffigurato nel suo antro nell’atto di respingere un terribile drago con la coda di serpente (residuo evidente del paganesimo delle genti longobarde), dopo avergli legato le fauci con una corda. Questa sequenza di scene è oggi in gran parte coperta dalla calce e non visibile.
La parete destra è decorata con una Crocifissione nella quale vediamo il Cristo con le braccia distese sulla croce, e ai suoi lati Maria e San Giovanni, con una mano sul viso. Sul margine dei riquadri, quasi sempre quello superiore, tra le teste dei Santi è stato scritto il nome di ciascuno di essi. Pur se coperta dalla calce come la parete opposta, questa sequenza è leggermente più leggibile.

Scavi e ricerche

Resti lungo il lato orientale del pianoro, in opera quadrata quasi isodomica, sembrano anteriori alla conquista romana (335-334 a.C.). Di età posteriore (II e I secolo a.C.), sono alcuni tratti in opera incerta e quasi reticolata sui lati sud e nord-est. Dai contesti funebri provengono vasi detti caleni: ceramica ricoperta interamente da vernice nera piombina, di ispirazione e influenza ellenistica; si presenta decorata da motivi plastici ornamentali e figurati, impressi a stampo. Diffusa largamente non solo in Magna Grecia ma anche in Sicilia, Etruria, Europa nord-orientale, si tratta di una produzione proveniente da Cales come attestano le numerose iscrizioni impresse sui vasi, dalle quali si ricavano i nomi dei fabbricanti appartenenti al territorio caleno, e la cronologia: gli anni di fioritura di questa produzione sono quelli tra il 250 e il 180 a.C. per poi esaurirsi completamente nel periodo successivo a causa della perdita dei mercati interni più importanti dovuta al cambiamento di condizioni militari e politiche, e per la diffusione di altri prodotti.

Il ritrovamento di grandi statue, teste votive e rilievi fittili attestano anche una produzione coroplastica a Cales con officine particolarmente attrezzate. Inoltre, a Cales sono state battute numerose monete tutte recanti la legenda Caleno. A seguito di una ulteriore serie di saggi preliminari alla posa dei cavi in fibra ottica dalla società SITRI, effettuati nel 1993, nell’area di parcheggio Cales a ridosso della corsia nord dell’Autostrada del Sole, sono stati rinvenuti alcuni settori abitativi della città romana. Infatti, già nel 1960 l’indagine preliminare, di circa 30 saggi, eseguita nel 1960 per la realizzazione dell’Autostrada del Sole, portò alla luce muri di ambienti con tracce del relativo pavimento in cocciopesto e tessellato, tratti di muri in calcare e in blocchi quadrati di tufo senza malta con resti di intonaco, resti di basolato.

Nel 1993 sono stati eseguiti cinque saggi, grazie ai quali sono stati rinvenuti: un mosaico e livelli pavimentali in cocciopesto databili intorno al I secolo a.C.; un pozzo in blocchi quadrangolari di tufo grigio locale riferibile ad una produzione tardo repubblicana; resti forse di capanna, di un edificio probabilmente con funzione sacra d’età ellenistica; ambienti di case di epoca romana medio repubblicana e imperiale. Lo scavo nella zona compresa tra i due pozzi (rinvenuti nel 1993) e la carreggiata autostradale è stato ampliato nel 1994 quando la Società Autostrade doveva completare le ultime infrastrutture per la costruzione della terza corsia.

Tale scavo evidenziò un’area aperta probabilmente utilizzata come un orto-giardino, la quale presentava strutture divisorie formate da un filare di blocchi squadrati di tufo grigio; sul lato ovest sono stati rinvenuti pilastri posti ad una distanza regolare, l’uno dall’altro, di 2 metri che costituivano il perimetro di ambienti di passaggio: probabilmente si trattava di un porticato; inoltre, sono stati ritrovati ulteriori blocchi di tufo squadrati relativi al complesso monumentale e poi riutilizzati in epoca successiva.

Ponte delle Monache

Questa zona indagata attesta la presenza di una comunità dalla fine del IV al I secolo a.C. ma l’indagine è stata particolarmente compromessa nella parte sud-orientale del saggio a causa della costruzione dell’Autostrada a due corsie che ha interferito nella sequenza stratigrafica. Il ritrovamento di materiale votivo nella zona settentrionale dell’area indagata assieme all’importanza delle strutture emerse inducono a ritenere che il complesso avesse funzione religiosa e pubblica, infatti, si tratta del santuario di Ponte delle Monache che occupa il pianoro sud orientale della città dominando la confluenza dei fiumi Pezzasecca e Rio del Lanzi: una posizione topografica strategica poiché la zona è compresa tra due direttrici viarie, ossia la prima che diverrà l’asse principale urbano che, attraverso il ponte in tufo naturale cosiddetto delle Monache, consente l’accesso alla città provenendo dall’agerFalernus; la seconda corrisponde alla trasversale che, attraverso la porta sud-est consente il collegamento con l’agerCampanus e Capua.

Tale santuario dalla fine del IV alla fine del II secolo a.C. ebbe il suo periodo di maggiore attività per poi essere abbandonato probabilmente a causa degli sconvolgimenti legati alla guerra sillana; a fine I secolo a.C. l’area viene parzialmente riutilizzata. Notizie utili per la conoscenza di questo santuario provengono dalla cospicua quantità di materiale votivo, il quale attesta che l’area sacra di Ponte delle Monache sia soprattutto la più importante della città avendo, tra l’altro una funzione di raccordo per le popolazioni sparse.

Dalla diversa tipologia degli oggetti votivi è possibile ritenere che il santuario di Ponte delle Monache rientri nella koinè etrusco-laziale-campana di età ellenistica, e gli esemplari fittili consentono solo una datazione prima della fine del V secolo a.C. Tuttavia, i materiali rinvenuti non forniscono informazioni su quale sia la divinità e/o le divinità venerate nel santuario, anche se dai ritrovamenti in località Capitolo (in prossimità di via Formelle) pare che venissero venerate più di una divinità: Ceres e Esculapio.

Stralcio cartografico. Particolare F. 172 IV N.O. Teano.
Il territorio di Calvi Risorta

Chiesa di San Casto

Poco a nord del teatro romano di Cales, nascosti oggi nella boscaglia, sorgeva la chiesa di San Casto. Ne restano visibili oggi solo pochi resti in “opus latericium”, ma si ha notizia che fino alla seconda metà del XVIII secolo era ancora aperta al culto. Fu costruita poco fuori dalla porta nord-occidentale di Cales romana, sull’area dove sorgeva una grande palestra. Fu oggetto di scavi che portarono alla luce, come narra il diario: “gli avanzi di una camera sepolcrale absidata. Nell’abside, sotto il pavimento, vi erano quattro sarcofagi con copertura a due spioventi …” . Calepodio, vescovo di Calvi nel 307 d.C. innalzò un’altare in onore di San Casto (suo predecessore) e risulta che sotto il pavimento depose il corpo del “Santo Martire”. Questo lascia pensare che uno dei quattro sarcofagi portati alla luce dall’archeologo Werner Johannowsky sotto il pavimento dell’abside custodisca le spoglie mortali di San Casto.

Terme

Inoltre, resti romani ancora visibili sono costituiti dalle terme, dal teatro e dall’anfiteatro. Le terme, grandioso complesso termale d’età repubblicana, sono state rinvenute in località Arco d’Orlando, ossia di fronte al teatro. Grazie allo scavo, seppure parziale, è stato possibile individuare la suddivisione degli ambienti su tre file. Tramite l’unico ingresso scavato si accede ad un corridoio che a sua volta immette nell’apoditerium, vale a dire un ambiente utilizzato come spogliatoio; questo era ornato da otto semicolonne. Da esso si accede poi al calidarium (zona destinata ai bagni d’acqua calda e di vapore), e al tepidarium (zona destinata ai bagni in acqua tiepida).

Teatro

Sono inoltre riconoscibili anche il praefurnium (il forno di alimentazione) e la cisterna. Il tutto è in opera quasi reticolata di calcare e tufo. La fronte è scandita da semicolonne aventi base di tipo attico e capitelli ionici, e ammorsature a vela. Il teatro si trova all’interno della città, precisamente in località Grotte. Esso si presenta con la cavea orientata est-ovest ortogonalmente al cardine massimo. L’intera struttura consta di due fasi: quella più antica (intorno alla fine del II secolo) è visibile solo in una parte dei muri meridionali che contenevano la cavea lungo i passaggi laterali.

Nella fase di costruzione successiva (intorno alla metà del I a.C.) nella quale vi fu un ampliamento dell’edificio, è visibile una caratteristica novità nella cavea: completamente distaccata dal terreno, essa poggia su un sistema costituito da dodici arcate ognuna delle quali si sdoppia alla metà della propria altezza così da visualizzare ventiquattro arcate sul prospetto esterno; inoltre, alle chiavi delle arcate interne si inserisce un muro radiale su cui poggiano le nuove volte risultanti dallo sdoppiamento della prima.

Teatro dell’Area Archeologica di Cales (ph Mariapia Statile – Fonte: clicca qui )

Anfiteatro

L’anfiteatro, che si colloca in località Circulo, è ricavato in parte per scavo e in parte per accumulo di terreno di riporto. Infatti, lo scavo di una vasta conca diede la possibilità di realizzare le gradinate sfruttando in tal modo il declivio artificiale (siamo nel primo quarto del I a.C.). Oggi è visibile la sua forma ellittica profonda a circa 7 metri rispetto al livello di campagna, senza le sue murature. In situ si conservano resti delle semicolonne in laterizio che ornavano i lati dei portali d’ingresso all’ambulacro esterno, il tutto pertinente al settore nord ed est. Difatti mediante le quattro porte monumentali si accedeva all’ambulacro e parte dei corridoi anulari comunicano proprio coi resti delle porte monumentali di cui sopra.

Interno dell’Anfiteatro (ph Mariapia Statile – Fonte: clicca qui )

Note:
Plinio, Nat. Hist. XIV-VIII (VI), 3.
Livio VIII

Glossario:
Abside: è propriamente una costruzione a pianta semicircolare coperta da una calotta emisferica (Enciclopedia Treccani).
Ambulacro: ambiente secondario, coperto per lo più a portico, sviluppato nel senso della lunghezza e di varia pianta in relazione alla sua funzione (a. circolari, absidali ecc.) (Enciclopedia Treccani).
Capitello ionico. Capitello: elemento architettonico che può costituire la parte terminale di una strut­tura di sostegno ad andamento verticale con funzione di collegamento fra tale struttura e quelle sovrastanti, di solito a sviluppo orizzontale. Ordine ionico: ordine architettonico caratterizzato dalla presenza di colonne con base, fusto scanalato, capitello a due volute laterali e dalla trabeazione con architrave diviso in tre zone sovrapposte, fregio e cornice.
(Fonti: www.archeologia.beniculturali.it/ – www.archeologia.beniculturali.it/)
Cavea: nei teatri e anfiteatri antichi è la parte riservata agli spettatori (gradinate), divisa in settori orizzontali (praecinctiones, maeniana) e verticali (ima, media e summa cavea). Nell’architettura greca (teatri) la cavea è solitamente addossata al pendio naturale di una collina, mentre nei teatri romani e quasi sempre negli anfiteatri essa è sorretta da sostruzioni (Fonte: www.archeologia.beniculturali.it/).
Cripta: in senso generico, complesso dei sotterranei di un edificio pubblico, per lo più di carattere sacro o cimiteriale, sistemati in modo da consentirne l’accesso e l’uso in relazione con la destinazione dell’edificio stesso (Enciclopedia Treccani).
Iconoclasta: distruttore di immagini sacre, con riferimento ai seguaci e rappresentanti di un movimento religioso (iconoclastia) che nell’Impero bizantino avversò, nei sec. 8° e 9°, il culto e l’uso delle sacre immagini (Enciclopedia Treccani).
Navata: ambiente longitudinale, delimitato ai lati da muri, colonne o pilastri a sostegno della copertura, tipico di templi, basiliche e chiese (Enciclopedia Treccani).
Presbiterio: si intende la parte della chiesa o della basilica ove si officiano i riti, ossia la parte contenente l’altare. L’accesso al presbiterio è solitamente consentito al clero e talvolta può essere separato dal resto degli ambienti ad uso dei fedeli (Fonte: www.archeologia.beniculturali.it/).
Pulpito: elemento pianeggiante rialzato posto dinanzi alla scena (Enciclopedia Treccani).
Opera incerta: tecnica edilizia di epoca romana, con la quale si realizzava un paramento per i muri in opera cementizia, attraverso la messa in opera di blocchetti sbozzati di forma irregolare con giunti combacianti ma privi di ordine ed una faccia piana in faccia vista (Fonte: www.archeologia.beniculturali.it/).
Opera (quadrata) isodoma: a fronte di muri in opera quadrata irregolare, in cui vengono utilizzati blocchi lapidei parallelepipedi di volumetria e proporzioni differenti (Fonte: www.architetturadipietra.it/).
Opera quasi reticolata: tecnica edilizia simile all’opera reticolata (v.), ma con tessitura meno uniforme (Fonte: www.archeologia.beniculturali.it/).
Opus latericium/Opera laterizia: tecnica edilizia di epoca romana, con la quale si realizzava un paramento per i muri in opera cementizia, mediante l’uso di mattoni cotti in fornace. Per indicare questa tecnica si adotta anche la locuzione opera testacea. Inizialmente venivano impiegati materiali di riuso (coppi e tegole), mentre a partire dall’età augustea furono introdotti mattoni appositamente realizzati. In Vitruvio l’opus latericium è quella tecnica edilizia realizzata con i lateres, mattoni cotti al sole (Fonte: www.archeologia.beniculturali.it/).

Bibliografia:
P. Arthur, Romans in northern Campania: settlement and land-use around the Massico and the Garigliano basin, in Archaeological monographs of the British School at Rome 1, London 1991.
F. Chiesa, Contatti di culture nel quadro archeologico di Cales, in Bollettino di Archeologia on line 2010, volume speciale f/f4/6, pp. 35-48.
R. Compatangelo, L’ager calenus: saggio di ricognizione topografica, in Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti di Napoli. Monumenti V, Napoli 1985.
S. R. Femiano, Linee di storia, topografia ed urbanistica della antica Cales, s.l. 1988.
W. Johannowsky, Relazione preliminare sugli scavi di Cales, in Bollettino d’Arte 46, Roma 1961, pp. 258-268.
A. Maiuri, Passeggiate campane, Firenze 1954.
S. Quilici Gigli, Sui cosiddetti Ponti Sodi e Ponti Terra, in Strade Romane. Ponti e Viadotti. Atlante Tematico di Topografia Antica 5, Roma 1996, pp. 7-28.
F. Ruffo, La Campania antica. Appunti di storia e di topografia I, Napoli 2010.
R. J. Talbert (cura di), Barrington Atlas of the Greek and Roman World, Princenton 2000, Latium-Campania 1:500.000.

 

Articolo disponibile anche su  Archart – rivista online, 22/02/2012

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A proposito del caso dell’area archeologica dell’antica Cales:

“La prigionia del Castello Aragonese”, 3 maggio 2012
“Cales, Viaggio nel degrado assoluto”, 24 febbraio 2012

“Cales antica sommersa dai rifiuti e sterpaglie”
“La prigionia del Castello aragonese”

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